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Letteratura italiana Einaudi 156
Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
al Capitano, ai ragazzi, ai contadini di qui: i Reali di
Francia, le vite dei briganti, la storia di Corradino, degli
almanacchi, dei lunari. Piú in là c era il caffè: un vero
caffè, con un biliardo, e, allineate su uno scaffale, una
serie di vecchie bottiglie di vetro fuso e formato, di quel-
le che sono ora cosí ricercate dai collezionisti, con le fac-
ce di Re Vittorio Emanuele II, di Garibaldi, della Regina
Margherita, o con delle donne nude che reggono una
palla, o con una mano che brandisce una pistola. Ma,
fatti avanti e indietro quei duecento passi, fra l albergo
di Prisco e il caffè, si esaurisce tutta la vita mondana di
Grassano. A destra e a sinistra, di sopra e di sotto, non
c è piú altro che stradette, scalette e sentieri, fra le cata-
pecchie allineate dei contadini. Queste sono ancora piú
povere e squallide che quelle di Gagliano, le stanze sono
piú piccole, non ci sono orti vicino alle case, che si serra-
no l una all altra come per un pericolo mortale. Anche
qui le capre e le pecore, piú numerose che a Gagliano,
saltano per le vie piene di spazzature; anche qui i bambi-
ni seminudi, pallidi e gonfi si rincorrono tra i rifiuti. Le
donne non portano il velo, né il costume: ma anche qui i
loro visi sono terrei, chiusi e animaleschi. Anche qui la
pazienza e la rassegnazione stanno scritte sui volti degli
uomini e sulla desolazione del paesaggio. Soltanto, per il
maggior contatto col mondo di fuori, c è nell aria un piú
vivo desiderio di evasione, sempre disilluso nella impos-
sibilità della speranza.
Risalii e ridiscesi, da solo, per le stradette conosciute,
finché giunsi alla chiesa, nel vento, in cima al paese, per
ridare uno sguardo a tutto l orizzonte, che spazia im-
menso oltre i confini di Lucania. Di qua, ai miei piedi, le
case del paese, con i loro tetti giallognoli, e poi la discesa
ondulata e grigiastra del monte, fino al Basento, e, in
faccia, le montagne di Accettura, da quelle piú a valle
che nascondono Ferrandina, alle Dolomiti di Pietra Per-
tosa, dietro cui si perde il greto del fiume. Da tutti gli al-
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tri lati, il grande mare di terra informe, di là del Bilioso,
delle grotte dei briganti e dei monachicchi, e di Irsina,
irta su un colle ispido. Paesi lontanissimi appaiono da
ogni parte, come vele sperdute su questo mare, fin lag-
giú dove si intravede Salandra, e Banzi, dove si stenta a
immaginare, in quella arsura, esistesse davvero un tem-
po la fresca fontana piú chiara del vetro, degna del vino
e del capretto; altri, piú vicini, paiono navigare avvici-
nandosi al porto, fino a Grottole, là di faccia, dietro la
cappella di sant Antonio, e ai suoi due alberi sperduti
nel deserto. Questa sconfinata distesa monotona e on-
dulata, la si coltiva, da qualche anno, a grano: un povero
grano che non ripaga la semente, le spese e la fatica.
Quando l avevo vista per la prima volta, l estate, era il
tempo della raccolta. Tutta la terra, d ogni parte intor-
no, era gialla sotto il sole: e un canto di lontane trebbia-
trici solcava solo il silenzio. Ora, tutto era grigio, non un
colore turbava quella monotonia solitaria.
Rimasi a lungo lassú, finché cominciò ad imbrunire e
a cadere qualche goccia di pioggia. Scesi in fretta all al-
bergo. C era già parecchia gente che aspettava di man-
giare, dei carrettieri di passaggio, dei mercanti ambulan-
ti, e Pappone. Sulle voci di tutti, sentivo già dalla strada
le urla pugliesi di Prisco, e le grida napoletane di Pappo-
ne, che, come sempre, fingevano per gioco di litigare.
Pappone era un mercante di frutta di Bagnoli, che veni-
va spesso per affari a Grassano, dove ci sono delle otti-
me pere: l avevo già conosciuto durante l estate. Era un
grande amico di Prisco, usavano ingiuriarsi continua-
mente in segno di affetto. Pappone gli gridava: Strun-
zo galleggiante! e Prisco gli replicava: Co a banne-
rola n coppa! fetente! e, partiti di qui, continuavano a
lungo a gran voce, minacciandosi con gli occhi e riden-
do. Pappone era un ex frate, grasso, rotondo, ghiotto e,
a modo suo, spiritosissimo. Aveva un arte particolare,
come cuoco; e si preparava da sé, mandando via dal for-
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nello la signora Prisco, la salsa alla marinara per i mac-
cheroni: me ne faceva sempre parte, ed era veramente la
migliore che io abbia gustato mai. Anche maggiore era
la sua arte di raccontare storie stravagantissime, accom-
pagnandole con la mimica piú espressiva. Ma, ahimè, le
sue novelle erano tutte talmente salaci, pornografiche e
fratesche, che non mi è davvero possibile riferirne nes-
suna: neppure quella che raccontò quella sera a tavola, e
che, fra tutte quelle che gli avevo sentito narrare, era
forse la piú innocente.
Finalmente potevo mangiare in compagnia: questo mi
rallegrava: mi pareva di essere di nuovo un uomo libero.
Da quel tempo ho preso in uggia la solitudine a tavola,
al punto di preferire un qualunque commensale scono-
sciuto all esser solo. La cena, modestissima, mi pareva
dunque deliziosa, e il racconto di Pappone assai piú spi-
ritoso delle piú celebrate, e noiosissime, novelle del Fi-
renzuola. Noi mangiavamo, e Prisco ci teneva compa-
gnia, in maniche di camicia, coi gomiti sulla tavola,
tonante, elastico e sudato, con un bicchiere di vino. En-
trò allora un nuovo commensale: un mercante di stoffe
di Brindisi, che già conoscevo. Era un uomo enorme,
grassissimo e grossissimo, con una faccia da orco, con
un gran naso, grandi occhi, grandi orecchie, grandi lab-
bra, e grandi guance che muoveva mangiando con un
grande fracasso. Mangiava almeno come quattro cristia-
ni messi insieme, anche perché si limitava a quel solo pa-
sto serale, dopo aver passato tutto il giorno ad arringare
le donne perché comprassero le sue stoffe. Malgrado le
sue terribili ganasce, e il sudore che gli rigava il volto, e
quel suo orrendo aspetto di gigante difforme, era un uo-
mo gentile, e spiritoso quasi quanto il suo amico Pappo-
ne. Cosí, attorno al tavolo, tutti erano rumorosamente
allegri.
Il Capitano, suo fratello, e il loro amico Boccia, un
giovanotto un po deficiente per una malattia infantile,
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impiegato del municipio, stavano in un angolo della
stanza, leggendo avidamente un vecchio numero della
«Gazzetta dello Sport». L orco di Brindisi non amava
queste infatuazioni sportive, e attaccò subito diretta-
mente, col suo vocione, il Capitano: Capità! Ora non
c è piú che lo sport! La guerra d Africa, e lo sport! non
si pensa ad altro. Ma che cos è poi questo sport? Il Ca-
pitano cercò la parata. Carnera, rispose, è campio-
ne del mondo . Il mercante si mise a ridere, facendo
tremare i bicchieri sul tavolo. Il vostro Carnera, dis-
se, è come Garibaldi . L affermazione era cosí precisa
che il Capitano non trovò risposta, e il gigante continuò:
Sono tutti trucchi. Carnera ha vinto perché era d ac-
cordo prima. È proprio una specie di Garibaldi: la storia
non cambia. Sui vostri libri di scuola vi insegnano un
mucchio di frottole, ma la verità è un altra. Quando Re
Franceschiello dovette lasciare Napoli, e si ritirò a Gae-
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