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cominciando da sè l opera della sua Metamorfosi, un
giorno si trasformò d Avvocato in Poeta.
Eccovi come il Genio è una calamita fedele, che può
ben a forza rivolgersi altrove che alla sua Tramontana,
ma non mai acqetarvisi, sì che senza violenza vi stia, fin
che anch egli soavemente operi in noi quello, che del
Fato disse il Poeta:
Ducunt volentem Fata, nolentem trahunt.
Che s egli avvenga, che l interesse o dell onore o del
guadagno non voglia che si tralasci quello che male si
cominciò; eccovi nelle Academie delle Lettere, come
nella Libia d Africa, i mostri. Un Medico Poeta, Filo-
sofo Istorica, Giurista Matematico; ne quali confonden-
dosi quegl innatti semi che si portaron dal ventre nell
istinto dell animo con quelli affatto prevalgono, con es-
ser l uno e l altro, non si è nè l uno nè l altro.
Ha dunque di mestieri, perchè felicemente riesca l
applicarsi non solo alle Lettere, ma a questa più quell
altra professione di Lettere, consigliarsi col proprio Ge-
nio; che suole, a chi ha buon orecchio, farsi intendere
con la lingua de spessi desiderj quando non ha ciò che
vuole, e col gusto che pruova quando l ottiene. Anche
alla sua volontà bisogna dire com Eolo a Giunone:
Tuus, o Regina, quid optes
Explorare labor; mihi jussa capessere fas est.
Altrimenti, pretendere di riuscire al dispetto del Cielo
suo eccellente in qualche professione di Lettere è lo stesso
che, per aprirsi la strada a Campi Elisj, volere staccare, dal
ceppo suo quel ramo d oro, che, se la natura ti nol dona,
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Non viribus ullis
Vincere; nee Juro poteris convellere ferro.
Ma spiegata ho io sin ora più la necessità d incontra-
re il suo Genio, che la maniera di conoscerlo; perchè,
com io credo, egli ha voce sì conosciuta, che non ha bi-
sogno d interpreti che la dichiarino, ma d orecchi che l
odano, Quello par solo mi resti, a dire, ch è per altrui
conoscimento; e sono i contrasegni onde si conghietturi
ingegno: e serviranno perchè, nell applicare chi da noi
dipende, non erriamo; sì come altri, non conoscendo il
suo Genio, può errare, applicando contra la propria inli-
nazione sè stesso.
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Segni d uomo ingegnoso, presi dalla Fisonomia, sono di poca
fede.
Gli antichi architetti, per legge più di giudicio che d
arte, nel fabricare un tempio a qualche Dio, de Ordini
greci, Dorio, Ionico, e Corinzio sceglievano quello, che
alla natura del Dio a cui fabricavano il tempio meglio sì
confaceva. Perciò il Dorico, Ordine grave e severo, usa-
vano per li Dei guerrieri, Ercole, e Pallade; il Corinzio,
Molle e lascivo, per Venere, Flora e Proserpina, e le
Ninfe de fonti; l Ionico moderato, per Giunone, Dia-
na,Bacco, ed altri lor somiglianti.
Questa legge medesima sono di parere alcuni Platoni-
ci e tutti i Fisionomi, che la natura abbia rigorosamente
osservata nel fabricare i corpi, che sono i tempj dell ani-
ma: sì che essendovi altre anime guerriere, ed altre vili;
queste svegliate e ingegnose, quelle stupide e insensate;
molte servili, alcune quasi reine, nate a comandare; con-
facevoli ancora a gl interni lor genj e alle lor tempre ab-
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bia disegnate l esterne fattezze del volto, e usata tale l
architettura del corpo, qual era l inclinazione dell ani-
mo. Quindi ha presi l arte del conghietturare i suoi
principj; onde, da ciò che in altrui si vede, quello, che
sta nascoso ritrae e argomenta. E come che della qualità
de costumi buoni e rei, molti e varj, e bene spesso fra
loro repugnanti, diano gl indicj dell ingegno in chi stu-
pido, e in chi penetrante e acuto si truovi; tanti per sa-
perlo ne danno, come se un Proteo nelle naturali fattez-
ze della sua faccia, e non un ingegno nelle sue qualità,
conoscere si dovesse.
Ma perchè molti di questi maestri indovini, più alle
fattezze e alla tempra d alcuni pochi ingegnosi che all
universali occultissime cagioni dell ingegno attenden-
do, hanno fatto i volti di pochi stampa commune di tut-
ti, tanto che dicon del Porta, che, come s egli fosse l Al-
cibiade onde ricavar si dovessero le fattezze d un vero
Mercurio, copiando sè stesso, da particolari suoi segni
formò le universali e quasi uniche conghietture,d un
eccellente ingegno; quindi è, che sì fallace riesce, dalla
sembianza e da lineamenti del corpo indovinare la va-
stità, la sottigliezza, la velocità, la profondità d un inge-
gno. Riferirò io qui, ma senza grande sforzo per rifiutar-
li, i più communi segni, che di questa materia si danno
dalla scuola del conghietturare. E prima:
Negano i Platonici potere star in uno stesso uomo
bellezza d ingegno e deformità di corpo. Quel trino di
Venere con la Luna, ch è il suggello con che le stelle
stampano i più bei volti, aver consonanza co numeri
che contemprano l anima, e l accordano al moto della
prima Mente. Pitagora, quell anima di luce, essere stato
di sue fattezze sì bello, che gli scolari suoi, altri lo chia-
mavano, altri lo credevano Apollo vestito da Pitagora, o
Pitagora copiato da Apollo. Nè manca la sua ragione al
detto: conciosiecosachè la bellezza altro non sia, che un
certo fiore, che su questa terra del corpo dall anima,
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quasi seme nascoso, si produce. Sì come il Sole, se una
nuvola lo ricuopre, per essa traluce co più sottili suoi
raggi; e sì bella la rende, che non più vapore colto da
terra, sordido e oscuro, ma oro infocato, e quasi un al-
tro Sole rassembra. Non altrimenti un anima, che sia
come un Sole di luce, dentro alla nuvola di questo corpo
che la ricuopre e nasconde, traluce co raggi di sua bel-
lezza, sì che bello ancor lui, oltre misura lo rende: e que-
sta è quella, che Plotino chiamò Signoria, che la Forma
ha sopra la Materia.
Che se poi si conceda, che senon in corpi a sè somi-
glianti, non vengano l anime, nè si faccia nodo di sì
stretta amistà, senon dov è somma similitudine; chi non
vede non potersi unire anima bella a corpo deforme?
Nè state loro a dire, Esopo, nato, se mai verun altro,
con la Luna ne Nodi, essere stato un Tersite; Crate non
un cittadino di Tebe, ma un mostro d Africa; Socrate sì
mal fornito di bellezza, anzi di stampa sì grossa, che So-
piro Fisionomo lo diede per Idea d uno stupido e in-
sensato: Alcibiade lo chiama un Sileno; così dichiaran-
do di fuori mezzo fiera, ma dentro più che uomo: e
Teodoro, descrivendo nel Tecteto un giovane di felicis-
simo ingegno, favellando col medesimo Socrate, potè
dirgli: Non est pulcher: similis tui est: simo naso, et
prominentibus oculis; quamvis minus ille quam tu in
his modum excedat. Negano essere stata in essi cotal
deforimtà intenzione, di Natura, ma disavventura di ca-
so; non difetto di forma, ma peccato di disubbidiente
materia.
Ma se ciò è, gran vantaggio ne hanno le donne, a cui
la bellezza, fu data per dote; e si vede, che fatica conti-
nova della Natura è lavorare quella molle e morbida ter-
ra, sì che questo fiore vi metta più felicemente. E pure
per la suggezione a cui furono condannate, portano sì
poco senno in capo, come molta avvenenza mostrano in
volto. Onde delle più d esse potrebbe dir la Volpe d
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Esopo ciò che del capo di marmo d una statua di bellis-
simo volto: O bella testa! ma non v è cervello.
E veramente, se alla sperienza s attende, chiaro si
mostra, che la Natura non s è obligata a coteste leggi, di
non legare le perle senon in oro, e di non porre ingegni
d eccellente sapere senon in corpi d esquisita bellezza.
Potest ingenium fortissimum, ac beatissimum sub quali-
bet cute latere. Potest ex casa vir magnus exire. Potest
ex deformi vilique corpusculo, formosus animus ac ma-
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