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aveva detto il suo nome...
Quando mi tese la mano per salutarmi, era nata fra noi una intesa segreta, pi
chiara d ogni parola, e che solo la morte doveva rompere, un amicizia pi patetica di
un grande amore.
... L indomani, alle quattro del mattino, Firmino buss alla porta della
cameretta dove dormivo, nel cortile delle faraone. Era ancora buio e faticai a trovare i
miei indumenti sulla tavola zeppa di candelieri di rame e di statuette di santi tutte
nuove, che i miei avevano pescato nella bottega per arredarmi la stanza, la vigilia del
mio arrivo. Sentivo, in cortile, Firmino che gonfiava le gomme della bicicletta, la zia
in cucina che attizzava il fuoco. Il sole si mostrava appena quando partii. Ma mi
aspettava una giornata piena; avrei pranzato a Sant Agata, per avvertire della mia
assenza prolungata, poi, continuando il viaggio, sa rei arrivato, prima di sera, alla
Fert d Angillon, a casa del mio amico Agostino Meaulnes.
3 - Un apparizione
Non avevo mai fatto lunghe corse in bicicletta: questa era la prima. Per da un
bel pezzo, a dispetto del mio ginocchio malato, Gelsomino mi aveva insegnato di
nascosto ad andarci. Se la bicicletta un mezzo di divertimento per un ragazzo
normale, che cosa non doveva apparire a un poveraccio come me, che soltanto poco
tempo prima, in un bagno di sudore, trascinava faticosamente la gamba dopo tre o
quattro chilometri!... Buttarsi gi per i pendii tuffandosi negli avvallamenti del
terreno, scoprire quasi di volo le prospettive remote della strada che si schiudono,
sbocciano come ti avvicini; traversare d un lampo un villaggio portandotelo via tutto
in un occhiata... Solo in sogno avevo finallora conosciuto una corsa cos incantevole
e lieve. Anche le salite le attaccavo di slancio Era la strada che conduceva al paese di
Meaulnes, inutile dirlo, che io bevevo cos, tutto d un fiato...
Poco dopo l entrata del paese, mi diceva Meaulnes, quando me lo
descriveva, c una gran ruota a pale mosse dal vento... Non sapeva a che servisse
o forse faceva finta di non saperlo, tanto per stuzzicare la mia curiosit.
Solo verso il tramonto di quella giornata di fine agosto vidi finalmente, mossa
dal vento in una sterminata prateria, la gran ruota che probabilmente serviva a
pompare l acqua per una fattoria vicina. Di l dai pioppi del prato apparivano gi i
sobborghi. Man mano che percorrevo la gran curva della strada che costeggiava un
ruscello, il paese mi si schiudeva davanti... Arrivato al ponte, ecco infine la strada
principale del villaggio.
Vacche pascolavano, invisibili fra i canneti della prateria; mi arrivava il suono
dei campanacci, mentre, smontato di bicicletta, le mani sul manubrio, guardavo quel
mondo dove portavo una notizia tanto importante. Le case, cui si accedeva attraverso
un ponticello di legno, stavano tutte allineate lungo un canale che costeggiava la
strada, barche amarrate nella sera tranquilla, con le vele ammainate. Era l ora in cui
s accende un fuoco in ogni cucina.
Allora il timore e non so che confuso rimorso di turbare tanta pace mi tolsero
quasi tutto il coraggio. E proprio ad aumentare quella debolezza improvvisa, mi
ricordai che la zia Moinel abitava l, su una piazzetta della Fert-d Angillon.
Era una mia prozia. Tutti i suoi figli erano morti: io avevo conosciuto il
minore, Ernesto, un ragazzo grande e grosso che studiava da maestro. Mio prozio
Moinel, il vecchio cancelliere, lo aveva seguito di l a poco. Cos la zia era rimasta
sola sola nella sua casuccia stravagante, dove i tappeti erano fatti di ritagli cuciti
insieme, i tavoli rigurgitavano di galletti, galline e gatti di carta ma dove i muri
erano tappezzati di diplomi ingialliti, di ritratti di defunti, di medaglioni incorniciati
da trecce di capelli.
Eppure con tutti i suoi lutti e le sue amarezze, la zia era la stravaganza e
l allegria in persona. Appena rintracciata la piazzetta su cui dava la casa, la chiamai a
voce alta dalla porta semiaperta e subito, dal fondo delle tre stanze messe d infilata,
sentii un gridolino acuto:
Ehil! Santo Dio!
La zia rovesci sul fuoco il caff ma poi, un caff a quell ora? e venne
fuori... Stava tutta inarcata all indietro e portava in capo, proprio sul cocuzzolo,
qualcosa di mezzo fra il cappello, la cuffia e il cappuccio, sopra una fronte enorme e
tutta bozze, un po di mongola un po di ottentotta: e rideva a scatti, mostrando quel
che restava di una dentatura minuta.
Mentre l abbracciavo mi afferr in fretta, goffamente, la mano che tenevo
dietro la schiena e con un maneggio misterioso del tutto inutile visto che eravamo noi
due soli, mi ci fece scivolare una monetina che non ebbi il coraggio di guardare:
doveva essere un franco... Feci l atto di chiedere spiegazioni o di ringraziare, ma lei
mi dette una pacca gridando:
Ma va ! So ben io cos !
Era sempre stata povera, sempre costretta a prendere a prestito e tuttavia
sempre pronta a spendere. Sono sempre stata sciocca e disgraziata, diceva senza
amarezza, con la sua voce di falsetto.
Convinta che il problema del denaro angustiasse anche me come lei, non mi
lasciava neanche tirare il fiato e subito mi ficcava in mano i pochi soldi risparmiati
nella giornata. Anche in seguito, fu sempre cos che mi accolse.
Il pranzo fu strano insieme triste e bizzarro quanto l accoglienza. La zia
teneva sempre una candela a portata di mano, e ora se la portava via lasciandomi allo
scuro, ora la posava sulla tavolina apparecchiata con stoviglie sbrecciate o crepate.
A quella, diceva, i prussiani hanno rotto i manici, nel settanta, perch non
potevano portarsela via.
Solo allora, rivedendo quella brocca dalla tragica storia, mi venne in mente che
gi un altra volta, tempo fa, avevo mangiato e dormito l. Mio padre mi conduceva
nell Yonne da uno specialista che avrebbe dovuto guarire il mio ginocchio. C era da
prendere un rapido che passava prima di giorno... Rammento la malinconica cena di
allora, i racconti del vecchio cancelliere seduto davanti alla bottiglia di vino rosato, i
gomiti sulla tavola.
Ricordavo anche i miei terrori... Dopo cena, la prozia aveva preso mio padre da
parte, davanti al fuoco per raccontargli una storia di spiriti. Mi volto e... Ah, caro il
mio Luigi, che cosa vedo ? una piccola donna tutta grigia.. Dicevano tutti che aveva
la testa zeppa di queste sciocchezze terrificanti.
Ed ecco che quella sera, finita la cena, quando, stanco per il viaggio in
bicicletta, mi coricai nella gran camera matrimoniale con indosso una camicia da
notte a quadretti dello zio Moinel, lei venne a sedersi al capezzale e cominci a dire,
col tono pi misterioso e la voce pi stridula:
Mio caro Francesco, devo raccontarti quello che non ho mai detto a
nessuno...
Pensai: Andiamo bene: eccomi terrorizzato per tutta la notte come dieci anni
fa!...
E mi disposi ad ascoltare. Lei scuoteva la testa, guardando diritto in avanti,
come se raccontasse la storia a se stessa.
Tornavo da una festa con Moinel, il primo matrimonio cui avevamo assistito
dopo la morte del povero Ernesto; e vi avevo trovato mia sorella Adele, che non
vedevo da quattro anni! Un vecchio amico di Moinel, uno molto ricco, l aveva
invitato alle nozze del figlio, nella propriet delle Sablonnires. Avevamo preso a
nolo una vettura, una bella spesa! e tornavamo indietro verso le sette del mattino, in
pieno inverno. Il sole si stava levando, non c era anima viva. Tutt a un tratto, cosa
non ti vedo davanti a noi, sulla strada? Un uomo minuto, un ragazzo, bello come un
angelo, immobile, che ci guardava venire avanti. Mar, mano che ci avvicinavamo.
potevamo scorrere la sua faccia, cos graziosa, ma cos sbiancata da fare perfino
paura...!
Afferro Moinel per il braccio: tremavo come una foglia: credevo che fosse
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